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Sembrava facile pensare che potesse essere tutto lì. C'era il sole, il vociare del vento, c'era l'infanzia con le altalene a filare il tempo, c'erano i prati, gli alberi, il loro verde materiale e mutevole e c'era un poco d'ombra per non socchiudere troppo gli occhi.
Sembrava facile, sì, pensare che potesse essere tutto in quella luce a strati, nel desinare chiaro della rondine, nel lavorio della formica, nella liturgia della morte, nella sua sonora pietra. Felice di nulla edificare.
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Sommale le storie, fanne cifre aguzze come gli anni di quelli vissuti sulla capocchia di uno spillo; prendimi il fiato, la rincorsa; trattienimi dentro silenzi in ascolto delle radici, del crescermi dell'anima mentre scrivo per sapere cosa è natura e cosa è sostanza e come fa a essere buono un frutto o un uomo.
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Prossimi al mio dire quelli battezzati con la terra, rivestiti della grazia delle zolle, braccati nelle selve cittadine, entro radure di pestilenze umane, di ossa rotte, di fracassate speranze. Prossimi al mio dire quelli senza peso, senza giusta misura predestinati all'indeterminazione, cause efficienti della frazione del pane.
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Scrivo di nascosto da Dio che nella bocca voglio parole mie e niente niente nel passaggio dalla fronte alle dita alla punta della penna al suo muoversi sul foglio per mio sentire altro per meditato silenzio e pulsare di tempie per il mio stare accovacciata presso lo scavo con l'angelo geometra e la sua corda a misurare quanta benedizione c'è sulla terra.
[Tratte da L'ospite indocile, di Lucianna Argentino, Passigli Editori]
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